Los Ex
Re: Exjugadores en general
Para segunda ou para algunha liga menor ben vale. Logo non da o nivel para unha liga de primeiro nivel. Aquí fixo un traballo digno nos meses que estivo.
Re: Exjugadores en general
Tal cual. Fue un jugador importante durante media vuelta, ni mucho menos el más importante del equipo, como lo quisieron colocar algunos, se mostró como un jugador bueno de segunda, y hasta ahí. Es más, pese al mito que se montó a su alrededor, cuando faltó jugamos tan bien o mejor que sin él y Juan Domínguez ofreció su mejor versión, que era superior a la del Culio que vimos nosotros.
En primera, como fondo de armario y poco más.
En primera, como fondo de armario y poco más.
Re: Exjugadores en general
Unha das cousas máis bonitas que lín sobre o Dépor. Faltanlle un par de espazos entre paragrafos, pero bueno, marabilloso
La squadra che visse giusto un attimo..
‘Cantami o diva di quella squadra invincibile, fantastica, che per poco visse, ma che nessuno il quale l’ha vissuta veramente mai scorderà’.
Potrebbe iniziare così questa storia.
Si perché c’era un giorno, man mano che passa il tempo, ahimè, sempre più lontano, una squadra formidabile. Stratosferica. Quasi aliena. A tratti mitologica. Indistruttibile. Solida da far paura. Romantica da far piangere. Una squadra stupenda. La squadra dell’attimo eterno. Formidabile. Con interpreti fenomenali e delle maglie fantastiche, degne di questa storia incredibile. Costruita in paradiso per dominare l’inferno. Oliata così perfettamente nel profondo dei propri ingranaggi che per anni non si è mai sentito nessun cigolio. Che per anni non ha conosciuto intoppi. Neanche il minimo. Neanche uno.
Neanche per sbaglio.
Era una squadra nata dal niente, e nel niente ritornò con la stessa velocità con cui era sbocciata, esattamente come la vita di una stupenda farfalla di maggio.
Fu solo un attimo, che durerà per sempre.
La chiamavano ‘SuperDepor’, ma passerà alla storia semplicemente come il Grande Deportivo La Coruna di Javier Irureta. Il condottiero che fece il grande salto. Colui che arrivò direttamente dai nemici giurati del Celta Vigo, i vicini di casa che in quel periodo stavano ingrandendosi anche in Europa, tanto da essere denominati di lì a poco ‘EuroCelta’, per lasciare un segno indelebile.
Il Derportivo, invece, andò oltre. Ben oltre. Arrivò fino al tetto di Spagna demolendo e umiliando tutto e tutti.
Distruggendo, deridendo le grandi del paese. Prendendo a spallate e calci in culo gente che rispondeva al nome di Real Madrid [che in quello stesso anno vincerà la Champions League] e Barcellona, spazzati via rispettivamente 5-2 e 2-1.
Già. Proprio loro. Sempre loro. Solo loro, a parte rarissime eccezioni.
Non quella volta però.
No no.
A cavallo del millennio, tra la fine del novecento e l’inizio del 2000, non esisteva altro che il Depor.
Non esistevano altro che Songo’o, Naybet, Manuel Pablo, Schürrer, Mauro Silva, Fran, Victor, Flavio Conceicao, Donato, Fernando, Jokanovic, Scaloni, Djalminha, Pauleta, Roy Makaay e succesivamente Valeron, Walter ‘el Rifle’ Pandiani, Diego Tristan e Luque.
Una filastrocca che ben presto il mondo imparerà. Una cantilena che ben presto il calcio tatuerà sul suo corpo per la memoria dei posteri.
Una macchina perfetta. Da gol.
Da guerra, che non aveva i soliti segni sotto gli occhi, ma che spaventava il mondo con i colori che indossava: il blu ed il bianco.
Colori che in quegli anni facevano tremare al solo nominarli.
Il SuperDepor fu una formazione formidabile, dove i difensori erano costruiti con cemento e calcina. Dove i terzini erano schegge impazzite al servizio degli attaccanti. Erano frecce avvelenate da scagliare da un arco invisibile e buttate sulle fasce con una cattiveria senza precedenti. Il centrocampo era solido, marmoreo, ma allo stesso tempo dotato di una qualità quasi illegale, quasi da arresto, con geni del calibro di Djalminha e Juan Carlos Valeron a innestare la manovra, a dettare i tempi di un orologio tutto loro, gente che con la palla e gli occhi degli spettatori, qualunque fede essi fossero, facevano l’amore così appassionatamente da infuocare l’anima.
L’attacco invece..
Beh. Che dire. Nomi come ‘il pistolero’ Roy Makaay, Pandiani, Diego Tristan fanno parte della storia. Di un patrimonio di ricordi ed emozioni che nessuno di noi potrà mai cancellare dai cuori di chi in quel periodo guardava le partite europee rimanendo letteralmente folgorato da quel gioco arioso, spumeggiante, eroico al servizio di attaccanti formidabili, che non ammettevano distrazioni e non offrivano alcun perdono.
Che squadra ragazzi.
Gli avversari al loro cospetto erano uguali solo prima del calcio di inizio.
Si perché dopo seguivano minuti e minuti in cui la squadra di Irureta non sbagliava un passaggio. Non mancava un contrasto. Non diminuiva il pressing neanche venisse meno tutto l’ossigeno del mondo per farlo.
Ricordo ancora le discese di Victor ed le scivolate di Mauro Silva.
Ricordo ancora che quando Juan Carlos Valeron toccava la palla, sembrava che al posto dei piedi avesse delle mani di seta, sensibilissime. Calamitate. Mani da pianista, di quelle che non si sono mai sporcate o mai hanno conosciuto calli e dolori. Metteva la palla esattamente dove voleva, come se avesse un mirino nelle pupille: nè un centimetro più avanti, nè uno più dietro.
Ricordo ancora giocate di Djalminha da fantascienza. Da museo. Di quelle che poi il giorno dopo provi ad imitare all’oratorio, solo una volta però, giusto una, giusto il tempo di mangiar l’asfalto con la faccia e sbucciarsi mani e ginocchia, capendo ben presto che forse, certe cose, certi numeri, certe espressioni di genio ontemporaneo, è meglio lasciarle agli Dei. A chi del calcio ne fa un’arte. A chi con i piedi esprime un linguaggio tutto suo, che tutti riescono a capire, ma che nessuno, o quasi, riesce a parlare.
Questo è il racconto di 11 e passa eroi che toccarono il cielo con un dito. Di un gruppo di guerrieri ballerini che fecero del loro stadio, il ‘Riazor’, una fortezza greca inespugnabile.
Di uno spettacolo che non si fermò ai confini spagnoli, ma che entrò nelle case del mondo.
La storia di una squadra che rendeva tutto così facile. Troppo forse.
Si perché il Depor fu unico.
Davvero.
Non tanto per quella Liga, prima ed unica nella storia del club, vinta nel 2000 arando campi e avversari in maniera quasi vergognosa, per gli altri.
No. Fu unico perché ancora a distanza di anni in Spagna è un metro di paragone, ne parlano come se fosse una divinità, un messia atterrato in terra con i propri profeti per diffondere il calcio nel nuovo millennio, e poi lasciarlo agli altri.
Questa è la storia di una città che sa che mai rivivrà certe emozioni, certe notti, certe grida verso un cielo che non è mai stato così stellato.
È la storia di una generazione che saprà cosa raccontare ai propri nipoti. È la storia di un amore mai finito. Di una notte di follia. Di un orgasmo interminabile. È la storia di una vita. È la storia di un gol al Real Madrid perfetta sintesi di quel gioco asfissiante ma allo stesso tempo ampio e arioso: Djalminha inventa, Victor corre, crossa, Roy Makaay ‘mata’ l’avversario. Lo finisce, come un killer silenzioso ma efficace.
È la storia di una formazione che non amava giocare senza correre.
È il racconto di una squadra che c’era ed adesso non c’è più.
Non c’è più stata e forse mai più ci sarà.
Meglio così, credetemi.
Perché la monotonia ed il susseguirsi tolgono magia all’unicità.
Al momento preciso in cui tutto si manifesta per non tornare più.
All’istante in cui 11 eroi venuti dalla Galizia incantarono un intero continente per poi scappare via.
Verso altri lidi. Verso altre squadre.
Verso un futuro che non potrà mai cancellare il loro immenso passato.
Quello di una squadra che visse giusto un attimo, giusto il tempo di prendersi l’eternitá.
La squadra che visse giusto un attimo..
‘Cantami o diva di quella squadra invincibile, fantastica, che per poco visse, ma che nessuno il quale l’ha vissuta veramente mai scorderà’.
Potrebbe iniziare così questa storia.
Si perché c’era un giorno, man mano che passa il tempo, ahimè, sempre più lontano, una squadra formidabile. Stratosferica. Quasi aliena. A tratti mitologica. Indistruttibile. Solida da far paura. Romantica da far piangere. Una squadra stupenda. La squadra dell’attimo eterno. Formidabile. Con interpreti fenomenali e delle maglie fantastiche, degne di questa storia incredibile. Costruita in paradiso per dominare l’inferno. Oliata così perfettamente nel profondo dei propri ingranaggi che per anni non si è mai sentito nessun cigolio. Che per anni non ha conosciuto intoppi. Neanche il minimo. Neanche uno.
Neanche per sbaglio.
Era una squadra nata dal niente, e nel niente ritornò con la stessa velocità con cui era sbocciata, esattamente come la vita di una stupenda farfalla di maggio.
Fu solo un attimo, che durerà per sempre.
La chiamavano ‘SuperDepor’, ma passerà alla storia semplicemente come il Grande Deportivo La Coruna di Javier Irureta. Il condottiero che fece il grande salto. Colui che arrivò direttamente dai nemici giurati del Celta Vigo, i vicini di casa che in quel periodo stavano ingrandendosi anche in Europa, tanto da essere denominati di lì a poco ‘EuroCelta’, per lasciare un segno indelebile.
Il Derportivo, invece, andò oltre. Ben oltre. Arrivò fino al tetto di Spagna demolendo e umiliando tutto e tutti.
Distruggendo, deridendo le grandi del paese. Prendendo a spallate e calci in culo gente che rispondeva al nome di Real Madrid [che in quello stesso anno vincerà la Champions League] e Barcellona, spazzati via rispettivamente 5-2 e 2-1.
Già. Proprio loro. Sempre loro. Solo loro, a parte rarissime eccezioni.
Non quella volta però.
No no.
A cavallo del millennio, tra la fine del novecento e l’inizio del 2000, non esisteva altro che il Depor.
Non esistevano altro che Songo’o, Naybet, Manuel Pablo, Schürrer, Mauro Silva, Fran, Victor, Flavio Conceicao, Donato, Fernando, Jokanovic, Scaloni, Djalminha, Pauleta, Roy Makaay e succesivamente Valeron, Walter ‘el Rifle’ Pandiani, Diego Tristan e Luque.
Una filastrocca che ben presto il mondo imparerà. Una cantilena che ben presto il calcio tatuerà sul suo corpo per la memoria dei posteri.
Una macchina perfetta. Da gol.
Da guerra, che non aveva i soliti segni sotto gli occhi, ma che spaventava il mondo con i colori che indossava: il blu ed il bianco.
Colori che in quegli anni facevano tremare al solo nominarli.
Il SuperDepor fu una formazione formidabile, dove i difensori erano costruiti con cemento e calcina. Dove i terzini erano schegge impazzite al servizio degli attaccanti. Erano frecce avvelenate da scagliare da un arco invisibile e buttate sulle fasce con una cattiveria senza precedenti. Il centrocampo era solido, marmoreo, ma allo stesso tempo dotato di una qualità quasi illegale, quasi da arresto, con geni del calibro di Djalminha e Juan Carlos Valeron a innestare la manovra, a dettare i tempi di un orologio tutto loro, gente che con la palla e gli occhi degli spettatori, qualunque fede essi fossero, facevano l’amore così appassionatamente da infuocare l’anima.
L’attacco invece..
Beh. Che dire. Nomi come ‘il pistolero’ Roy Makaay, Pandiani, Diego Tristan fanno parte della storia. Di un patrimonio di ricordi ed emozioni che nessuno di noi potrà mai cancellare dai cuori di chi in quel periodo guardava le partite europee rimanendo letteralmente folgorato da quel gioco arioso, spumeggiante, eroico al servizio di attaccanti formidabili, che non ammettevano distrazioni e non offrivano alcun perdono.
Che squadra ragazzi.
Gli avversari al loro cospetto erano uguali solo prima del calcio di inizio.
Si perché dopo seguivano minuti e minuti in cui la squadra di Irureta non sbagliava un passaggio. Non mancava un contrasto. Non diminuiva il pressing neanche venisse meno tutto l’ossigeno del mondo per farlo.
Ricordo ancora le discese di Victor ed le scivolate di Mauro Silva.
Ricordo ancora che quando Juan Carlos Valeron toccava la palla, sembrava che al posto dei piedi avesse delle mani di seta, sensibilissime. Calamitate. Mani da pianista, di quelle che non si sono mai sporcate o mai hanno conosciuto calli e dolori. Metteva la palla esattamente dove voleva, come se avesse un mirino nelle pupille: nè un centimetro più avanti, nè uno più dietro.
Ricordo ancora giocate di Djalminha da fantascienza. Da museo. Di quelle che poi il giorno dopo provi ad imitare all’oratorio, solo una volta però, giusto una, giusto il tempo di mangiar l’asfalto con la faccia e sbucciarsi mani e ginocchia, capendo ben presto che forse, certe cose, certi numeri, certe espressioni di genio ontemporaneo, è meglio lasciarle agli Dei. A chi del calcio ne fa un’arte. A chi con i piedi esprime un linguaggio tutto suo, che tutti riescono a capire, ma che nessuno, o quasi, riesce a parlare.
Questo è il racconto di 11 e passa eroi che toccarono il cielo con un dito. Di un gruppo di guerrieri ballerini che fecero del loro stadio, il ‘Riazor’, una fortezza greca inespugnabile.
Di uno spettacolo che non si fermò ai confini spagnoli, ma che entrò nelle case del mondo.
La storia di una squadra che rendeva tutto così facile. Troppo forse.
Si perché il Depor fu unico.
Davvero.
Non tanto per quella Liga, prima ed unica nella storia del club, vinta nel 2000 arando campi e avversari in maniera quasi vergognosa, per gli altri.
No. Fu unico perché ancora a distanza di anni in Spagna è un metro di paragone, ne parlano come se fosse una divinità, un messia atterrato in terra con i propri profeti per diffondere il calcio nel nuovo millennio, e poi lasciarlo agli altri.
Questa è la storia di una città che sa che mai rivivrà certe emozioni, certe notti, certe grida verso un cielo che non è mai stato così stellato.
È la storia di una generazione che saprà cosa raccontare ai propri nipoti. È la storia di un amore mai finito. Di una notte di follia. Di un orgasmo interminabile. È la storia di una vita. È la storia di un gol al Real Madrid perfetta sintesi di quel gioco asfissiante ma allo stesso tempo ampio e arioso: Djalminha inventa, Victor corre, crossa, Roy Makaay ‘mata’ l’avversario. Lo finisce, come un killer silenzioso ma efficace.
È la storia di una formazione che non amava giocare senza correre.
È il racconto di una squadra che c’era ed adesso non c’è più.
Non c’è più stata e forse mai più ci sarà.
Meglio così, credetemi.
Perché la monotonia ed il susseguirsi tolgono magia all’unicità.
Al momento preciso in cui tutto si manifesta per non tornare più.
All’istante in cui 11 eroi venuti dalla Galizia incantarono un intero continente per poi scappare via.
Verso altri lidi. Verso altre squadre.
Verso un futuro che non potrà mai cancellare il loro immenso passato.
Quello di una squadra che visse giusto un attimo, giusto il tempo di prendersi l’eternitá.
Re: Exjugadores en general
Entiendo que hay cosas bastante fáciles de comprender pero no estaba de más una traducción para los que no sabemos italiano.
- tatukovic
- · Soy un iluso ·
- Mensajes: 6336
- Registrado: Miércoles 10 de Marzo de 2010, 0:30
- Ubicación: Con el tiempo he aprendido a pasar de muchos ...
Re: Exjugadores en general
Sergio destituido como técnico del Español
- Adriangalo
- · Forero de dulzura ·
- Mensajes: 5379
- Registrado: Miércoles 13 de Junio de 2012, 3:47
Re: Exjugadores en general
Si sigue estando al nivel que estaba hace 2 años en el Sao Caetano que coja la ficha de Haris (y lo digo en serio )
Re: Exjugadores en general
Leo los comentarios en redes sociales sobre la foto de Rivaldo y flipo cómo todavía hay gente que sigue erre que erre con la clausula y el último día de mercado
- Vinnie Jones
- · Thievysta ·
- Mensajes: 2418
- Registrado: Domingo 02 de Junio de 2013, 13:03
- Ubicación: Non hai Depor sen Arsenio, nin Arsenio sen Deportivo.
Re: Exjugadores en general
Fai un par de meses se defendeu iso mesmo neste mesmo foro, non fai falla emigrar pra veloJes1906 escribió:Leo los comentarios en redes sociales sobre la foto de Rivaldo y flipo cómo todavía hay gente que sigue erre que erre con la clausula y el último día de mercado
Re: Exjugadores en general
Volvía a mojar Nelson Oliveira para firmar la hasta el momento mejor temporada (por media goleadora) de su carrera. 5 goles en 15 apariciones con el Forest.
- Ou2
- · Que duda cabe ·
- Mensajes: 13995
- Registrado: Miércoles 10 de Marzo de 2010, 23:41
- Ubicación: ¿Falta mucho aún?
Re: Exjugadores en general
85 añazos cumple hoy el gran Zorro de Arteixo
- Vinnie Jones
- · Thievysta ·
- Mensajes: 2418
- Registrado: Domingo 02 de Junio de 2013, 13:03
- Ubicación: Non hai Depor sen Arsenio, nin Arsenio sen Deportivo.
Re: Exjugadores en general
Parabéns pra o gran Arsenio!
Re: Exjugadores en general
Donato deja de ser entrenador del Viveiro.
Via: Galicia en goles.
Via: Galicia en goles.
-
- · Premier League ·
- Mensajes: 6843
- Registrado: Martes 09 de Marzo de 2010, 23:40
- Ubicación: Sacando el machete
Re: Exjugadores en general
Más bien se lo han cargado.
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